CINEMA SALA RAIMONDI

Da VENERDI

21.03.2014

ORARI SPETTACOLI

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Scheda Film
 
Titolo 300 – L’alba di un impero
Nazione USA 2014
Anno  
Genere Azione
Durata 102 min.
Regia Un film di Noam Murro
Sito ufficiale  
Cast Con Sullivan Stapleton, Eva Green, Lena Headey, Andrei Claude, Mark Killeen.
Data di uscita giovedì 6 marzo 2014
Trama Grazie al sacrificio alle Termopili dei 300 valorosi spartani guidati da Leonida, la Grecia ha una possibilità di resistere all’invasione dell’Impero Persiano. Ma la speranza è legata alla capacità di Temistocle, guida militare degli ateniesi, di riuscire a unire le città-stato indipendenti nella lotta per la libertà dell’Ellade e di contrastare con l’astuzia e le tattiche di combattimento la forza preponderante della flotta persiana.
300 – L’alba di un impero nasce da presupposti analoghi ma da una base di partenza totalmente diversa rispetto al suo predecessore. Dove il film di Zack Snyder prendeva spunto da una graphic novel già esistente – “300″ di Frank Miller, capolavoro della nona arte – per esaltarne i lati più spettacolari e metterli al servizio del progresso tecnologico, il sequel di Noam Murro (ma co-sceneggiato da Snyder) parte dal film precedente, e dalla mitopoiesi generata attorno ad esso, per anticipare e “immaginare” il fumetto. Quantomeno per il pubblico, visto che è probabile che ci sia stata più di una consultazione in fase di produzione con Frank Miller per allinearsi al suo ancora inedito “Xerxes”, sequel del 300 fumettistico.
La matrice è quindi quella estetica del film di Snyder, la bulimia narrativa è quella di Peter Jackson alle prese con l’adattamento di Tolkien: a prevalere è infatti la volontà di raccontare anche gli interstizi di una vicenda storica e insieme fantastica, riempiendo i vuoti con l’immaginazione. Processo che comporta la doppia complicazione di voler mantenere qualche brandello di fedeltà nei confronti della vicenda reale – rappresentare l’astuzia di Temistocle e lo spirito irripetibile dell’anomalia democratica di Atene – e insieme di concedersi la libertà di integrare in chiave spettacolare, senza che le due componenti risultino contrastanti. In questo senso è da leggere l’approfondimento di Murro sui condottieri persiani: Serse – il Dio-Re, di cui è raccontata una genesi vicina al mondo di Robert Howard e del suo eroe cimmero Conan – e Artemisia – diabolica guerriera ellenica assetata di vendetta nei confronti del suo popolo e incarnata dalla letale sensualità di Eva Green. Nel personaggio della Green, oltre che in quello di Lena Headey, regina di Sparta e vedova di Leonida, è immediato leggere l’influenza del successo di serie Tv come Game of Thrones e Spartacus e della loro rilettura in chiave contemporanea e libera da censure dell’estetica heroic fantasy. Un universo di muscoli, sangue e brutalità in cui le relazioni umane, gli affetti e il sesso sono consapevolmente ridotti a uno stato di amorale bestialità; una scelta che conferma il predominio della tecnica sulla creatività di uno spirito dall’aspirazione cross-mediale e dagli scopi perversi. Il cinema attinge dal fumetto, desaturando il più possibile la propria fotografia, per avvicinarsi anche visivamente alla pagina di Frank Miller, ma contemporaneamente guarda al videogioco e a una differente ripartizione, quantitativa e qualitativa, tra scene action e parti dedicate all’approfondimento dei personaggi.
La dittatura del CGI prosegue baldanzosamente il proprio corso, dopo aver toccato l’apice (e insieme il punto di non ritorno) con la trilogia de Il Signore degli anelli, verso una direzione opposta rispetto a quella dello stesso Jackson. Dove quest’ultimo ha scelto la strada della sensazione di straniamento iper-cinetico, con l’aumento dei frame per secondo di The Hobbit, 300 – L’alba di un impero insiste sul ralenti e sul frame-freezing per congelare il momento e sottolinearne così epicità e imprescindibilità. Un effetto stancante, reiterato all’inverosimile, allo scopo di dilatare la narrazione e preludere a un possibile terzo capitolo, in perfetta “sindrome da trilogia”, fardello che ha già fortemente gravato sulla coesione dei singoli capitoli di Peter Jackson. L’epilogo (bruscamente) tronco suona più come un auspicio di poter protrarre la narrazione che come un’effettiva consapevolezza di disporre ancora di storytelling, inventiva, nonché di un uditorio interessato, per poter effettivamente chiudere il cerchio della saga.